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Aumentare l’empowerment femminile economico in Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel nostro paese emerge un basso livello di empowerment femminile che inevitabilmente ha delle conseguenze sull’economia e sulla società.

L’indipendenza economica femminile deve diventare un valore sociale condiviso come impegno e responsabilità tanto dalle donne quanto dagli uomini, per vivere insieme al meglio e con maggiore consapevolezza del potenziale di ognuno di noi.

L’Italia ha sbagliato strategia finora? Sì.

Sì, perché abbiamo un livello di occupazione femminile troppo basso. Che incide negativamente, come abbiamo visto, anche sul livello PIL pro-capite troppo basso rispetto agli altri paesi.

Sì perché abbiamo un livello di natalità troppo basso. E questo crea dei notevoli problemi di natura demografica, come quello di appesantire sempre di più una gestione adeguata delle pensioni future.

Sembra un controsenso, ma è proprio così. L’evidenza dimostra che non è vero che se la donna non lavora fa più figli. Se la donna che desidera avere figli non è supportata nell’essere una madre lavoratrice, cosa sceglierà di fare?

Di certo non sarà portata a diventare madre con più tranquillità perché nell’immaginario collettivo si crede che lei stia meglio a casa con i figli. Anzi.

Per non parlare di chi diventa madre e lotta per continuare a mantenere un reddito dignitoso (specialmente se da lavoro autonomo), ma deve scontrarsi con barriere burocratiche, finanziarie e culturali.

Ad esempio: è inaccettabile che una lavoratrice autonoma iscritta alla gestione separata INPS (che paga regolarmente le tasse) riceva l’indennità di 5 mesi di maternità obbligatoria suddivisa su 2 o 3 trimestri post partum solo dopo aver pagato le imposte INPS trimestrali.

Ci sono per cui casi in cui l’indennità di maternità arriva metà al 4° mese e metà al 7° mese di vita del neonato.

Evidentemente c’è qualcuno che è convinto che una neo mamma possa lavorare e produrre reddito come nulla fosse per i primi 4 mesi dopo il parto.

La direzione verso cui l’Italia sta andando in tema di empowerment femminile è sbagliata e va corretta.

A maggior ragione nel biennio 2020-2021 in cui abbiamo vissuto e stiamo vivendo la criticità del COVID legata a tante sfere della nostra vita, in cui gli elementi di fragilità del sistema pregressi si sono ulteriormente aggravati.

È necessario quindi stabilire un impegno per garantire un empowerment femminile soprattutto economico e per riportare uguaglianza tra uomini e donne, rimuovendo gli ostacoli inibitori.

È anche corretto considerare che accudire i figli piccoli è insito nella fisiologia delle donne ed è importante che le famiglie siano sostenute in questo, così come è importante non additare ingiustamente le donne che serenamente decidono di dedicarsi di più alla famiglia.

Nota molto importante: stiamo parlando sia di garantire un diritto alle donne di equità sociale, sia di abilitare il mondo femminile a concorrere al bene comune come proprio dovere, come propria responsabilità. Solo grazie a questo diritto-dovere, è possibile restituire la vera libertà alle donne italiane.

Ecco allora che con il termine empowerment femminile possiamo indicare la riattivazione delle donne alla potenza, alla forza, sia per esercitare i propri diritti sia per contribuire al dovere di ogni cittadino di realizzazione del bene comune.

Quindi, è bene sottolineare che non stiamo parlando di promuovere un conflitto tra donne e uomini. Assolutamente no.

L’indipendenza economica femminile deve diventare un valore sociale condiviso come impegno e responsabilità tanto dalle donne quanto dagli uomini, per vivere insieme al meglio e con maggiore consapevolezza del potenziale di ognuno di noi.

Infine, è nostra responsabilità trasmettere tale valore anche alle generazioni future.

Giulia

(questo articolo è disponibile anche sul sito di Turin Business Network Donna /https://tbndonna.it/)

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